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Dᴀɢʟɪ Usᴀ ᴀʟʟᴀ Cɪɴᴀ ɪʟ ᴅᴏᴍɪɴɪᴏ ᴍᴏɴᴅɪᴀʟᴇ ᴅᴇʟ ᴄᴀᴘɪᴛᴀʟɪsᴍᴏ

𝐿'𝑒𝑐𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑠𝑡𝑎 𝑠𝑒𝑟𝑏𝑜-𝑎𝑚𝑒𝑟𝑖𝑐𝑎𝑛𝑜 𝐵𝑟𝑎𝑛𝑘𝑜 𝑀𝑖𝑙𝑎𝑛𝑜𝑣𝑖𝑐, 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑛𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙'𝑜𝑟𝑚𝑎𝑖 𝑓𝑎𝑚𝑜𝑠𝑎 𝑐𝑢𝑟𝑣𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑒𝑙𝑒𝑓𝑎𝑛𝑡𝑒, 𝑖𝑛 « 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑠𝑚 𝐴𝑙𝑜𝑛𝑒 » (𝐻𝑎𝑟𝑣𝑎𝑟𝑑 𝑈𝑛𝑖𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖𝑡𝑦 𝑃𝑟𝑒𝑠𝑠) 𝑝𝑎𝑟𝑙𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑑𝑜𝑚𝑖𝑛𝑖𝑜 𝑎𝑠𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑜𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐𝑜: 𝑑𝑎𝑙𝑙’𝑖𝑝𝑒𝑟𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑠𝑚𝑜 𝑎𝑚𝑒𝑟𝑖𝑐𝑎𝑛𝑜 𝑎𝑙 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑠𝑚𝑜 𝑛𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑖𝑠𝑡𝑎 𝑐𝑖𝑛𝑒𝑠𝑒. 𝐼𝑛 𝑢𝑛 𝑎𝑟𝑡𝑖𝑐𝑜𝑙𝑜 𝑎𝑝𝑝𝑎𝑟𝑠𝑜 𝑠𝑢𝑙 𝑞𝑢𝑜𝑡𝑖𝑑𝑖𝑎𝑛𝑜 𝑒𝑐𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑐𝑜 𝑓𝑟𝑎𝑛𝑐𝑒𝑠𝑒 𝐿𝑒𝑠 𝐸𝑐ℎ𝑜𝑠, 𝐽𝑢𝑙𝑖𝑒𝑛 𝐷𝑎𝑚𝑜𝑛, 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑒𝑠𝑠𝑜𝑟𝑒 𝑎𝑠𝑠𝑜𝑐𝑖𝑎𝑡𝑜 𝑎 𝑆𝑐𝑖𝑒𝑛𝑐𝑒𝑠 𝑃𝑜 𝑑𝑖 𝑃𝑎𝑟𝑖𝑔𝑖, 𝑓𝑎 𝑢𝑛𝑎 𝑙𝑒𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑙𝑖𝑏𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑒𝑐𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑠𝑡𝑎.

a cura di Marco Cesario

Il capitalismo domina il mondo. Nelle sue due forme, liberale all'americana e autoritario alla cinese, abbraccia oramai tutto il pianeta. Al di là di ciò che li separa, questi due modelli hanno due punti in comune: l'eccessiva concentrazione di ricchezza e lo scollamento delle élite. Da qui l'importanza di innovare per rispondere alle disuguaglianze che ne derivano. Questa è la tesi di Branko Milanovic, nel suo nuovo libro.

Specialista delle disuguaglianze, l'economista serbo-americano è noto per la sua famosa curva ad elefante. Questa curva descrive la crescita in vent'anni del reddito medio di ogni frazione del reddito mondiale (dal 5% più povero all'1% più ricco). Ormai famoso, il grafico assomiglia a un elefante con la proboscide sollevata.

In questo nuovo libro, Milanovic ci ricorda come le idee, i valori e i desideri promossi dal capitalismo abbiano trionfato a livello globale. Ci ricorda anche che la sua globalizzazione ed espansione, accelerata dalla tecnologia digitale, è accompagnata da una diminuzione delle disuguaglianze tra i paesi e al tmpo stesso da un aumento delle disuguaglianze all'interno dei paesi. La rivoluzione industriale aveva portato all'arricchimento dell'Occidente e all'aumento delle disuguaglianze globali. La rivoluzione digitale ha portato ad una convergenza globale con un forte arricchimento asiatico.

La vittoria del modo di pensare capitalista è quindi reale. Ma il capitalismo contemporaneo non è uniforme. È composto da due grandi famiglie le cui differenze si incarnano in Stati Uniti e Cina: il "capitalismo liberale" meritocratico contro il "capitalismo politico" autoritario. Il primo, secondo Milanovic, riunisce le nazioni occidentali, ma anche l'India e l'Indonesia. Il secondo riunisce la Russia, parte dell'Asia, compresa la Cina, naturalmente, ma anche il Ruanda o l'Algeria, spesso paesi ex comunisti ed altri paesi precedentemente colonizzati.

Questi due sistemi sono in competizione senza che l'uno riesca a prevaricare sull'altro. Il capitalismo liberale deve confrontarsi con il populismo e con i sistemi di protezione sociale che si allargano sempre di più man mano che le popolazioni si diversificano. Nel caso del secondo modello, il capitalismo autoritario e politico, di cui Milanovic attribuisce la paternità a Deng Xiaoping, le burocrazie spesso corrotte dimostrano anche efficienza e attrattività. Ma qualunque sia la sua forma, il capitalismo vede un rafforzamento della concentrazione del capitale. Per porre rimedio agli attuali problemi del capitalismo liberale, Milanovic ritiene che le solite pozioni, compresi i tradizionali trasferimenti sociali e fiscali, siano inefficaci. Per il futuro, Milanovic propone dotazioni di capitale per i giovani, la partecipazione azionaria dei dipendenti, l'imposta sulle successioni e sul patrimonio, investimenti nell'educazione e nel servizio pubblico.

Su scala globale, Milanovic preconizza di combattere le disuguaglianze attraverso una migliore gestione delle migrazioni. Sebbene le disuguaglianze internazionali stiano diminuendo, rimangono sempre molto elevate secondo l'autore. Più che il merito, è la nascita che determina il reddito. Questo fa del paese d'origine di un individuo il principale fattore determinante del suo tenore di vita. Per superare il cosiddetto "nazionalismo metodologico", Milanovic propone un sistema un po' iconoclasta. Egli immagina migrazioni circolari, per così dire. L'idea è quella di prevedere una gradazione del contenuto della cittadinanza, che egli vede come un "bene economico". Si tratta soprattutto di permettere l'accettazione delle migrazioni nei paesi sviluppati.

Su un piano più prospettico, Milanovic scrive che il capitalismo globale di domani non sarà una questione di soft trade. Sarà il risultato di una "ipercommercializzazione" e di una atomizzazione di tutte le relazioni con tutte le tensioni che ciò comporta. Milanovic non vede alcuna reale alternativa a questo. Pertanto, egli ribadisce le sue raccomandazioni, valide per entrambi i tipi di capitalismo: riduzione della concentrazione della ricchezza, sostegno alla classe media, promozione delle pari opportunità attraverso un sistema educativo di qualità e accessibile, facilitazione delle migrazioni e, infine, controllo rigoroso del finanziamento delle campagne elettorali in modo che gli interessi dei ricchi non prevalgano. Una serie di rimedi, anche radicali, per rendere il capitalismo più sopportabile.

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